Possiamo dire che la pressa sia l’emblema della palestra, dato che è un aggeggio tipico del bodybuilding. Vero, lo ritroviamo in molte preparazioni atletiche, ma qui l’esercizio tipico è, che so… la girata, o qualcosa derivato dai sollevamenti olimpici e lo squat è proprio del Powerlifting. La pressa o leg press, è propria dello sviluppo della massa delle cosce, perciò calza a pennello per il bodybuilder.
Poi, se anche non fosse vero, mi serviva un cappellino per iniziare l’articolo. Tutto qua.
AVVERTENZA
Lo so anche io che questo tipo di articoli è il peggio del peggio per il fruitore medio di Internet: lunghi oltre i 47” del tempo di lettura medio, nessun accenno a argomenti di gossip sessuale, una strisciata di testo quando dovrei se non altro spezzettarli su più pagine in modo che me lo cliccate almeno 10 volte e non una. Però se non altro non ci sono pubblicità con quei popup del cazzo e con il tizio che parla.
È una strategia sbagliata ma, ripeto, è quello che io vorrei leggere. Sulla pressa in questo caso: questa roba va studiata, non letta. Ma non perché l’ho scritta io, ma perché per scriverla me la sono dovuta studiare io per primo.
In una pressa l’esecutore si trova in una posizione semi-distesa e spinge un carrello “pesante”. Esistono decine di modelli di pressa: il carrello ha degli spunzoni su cui impilare i pesi, il carrello è legato ad una catena o corda che muove un pacco pesi che si trova in fondo o di lato all’att rezzatura, il soggetto è steso con le gambe in alto, oppure è inclinato con le gambe in basso e spinge il carrello con le spalle (in questo caso si chiama hack squat), l’inclinazione tipica è di 45° ma se ne trovano ad angoli maggiori come di orizzontali, smaltate e cromate come costruite con profilati e barre da catastrofe postnucleare.
Per un proprietario di una palestra o di un centro fitness avere delle presse con i pacchi pesi ed i selettori e le parti in movimento protette da carter in metallo o plastica ha indubbiamente due grossissimi vantaggi:
- Il movimento è guidato e pertanto sicuro per chi lo esegue, a meno di attimi di follia in cui si vuol provare piacere nel farsi comprimere stile Santa Inquisizione.
- È possibile far allenare in sequenza la nonna della signora Pina ancora più marcia della signora Pina, il bodibiulder no-pein-no-ghein, l’avvocato cinquantenne superlampadato che fa crossfit perché lui è uno spartano: basta spostare il selettore e tutti sono contenti.
- Il pacco pesi evita di avere pesi in giro, persone che trasportano pesi verso la pressa, persone incazzate che i pesi sono rimasti sulla pressa e li spostano dalla pressa, tutte potenziali fonti di infortuni.
Per quest’ultimo punto, mi ricordo della pressa sul soppalco della palestra del Centro Sportivo Universitario, millenni fa: non c’era un peso che fosse uno. L’istruttore mi disse che li avevano tolti tutti perché un furbone aveva fatto rotolare per sbaglio un disco da 10 kg che era caduto al piano di sotto.
Tenete a mente queste due indicazioni quando vi vogliono convincere che la pressa “è meglio” di qualcosa, quando, invece, è solo più pratica per il proprietario del posto.
I complessati del carico fallicamente compensatorio utilizzano la pressa per le loro terapie comportamentali, perché è facile, con un minimo di applicazione, utilizzare 200 kg se non anche 300 kg, cioè tutto il pacco pesi a cui si aggiungono tanti dischi da 10 kg (perché in palestra quelli da 20 kg latitano) e magari anche i due amici secchi che insieme fanno 125 kg. Duecentochiliduecento, trecentochiliwowchespettacolo pensando che alle milf perizomate freghi qualcosa.
Il peso sollevato non è quello caricato…
È interessante come la pressa si presti a descrivere una serie di concetti di Fisica, essenzialmente di Statica. Per prima cosa: il peso sollevato
Nel disegno una rappresentazione di una tipica pressa a carrello e dischi: c’è un carrello più o meno pesante che scorre su una guida composta da due barre cilindriche inclinate, a 45° o 60°, il carrello ha un sistema di rotelline di solito di nylon che devono essere molto robuste per durare. È possibile caricare sul carrello i pesi.
Il soggetto si posiziona su uno schienale che è regolabile in inclinazione. Lo schienale è di varia forma, da un semplice materassino rettangolare a cosa anatomiche che sembrano fighe ma poi sono scomodissime. Ci deve essere un modo per ancorarsi al sedile dato che quando il soggetto spinge tende a sfuggire dalla parte opposta: senza alcun supporto a cui ancorare le mani si deve fare affidamento all’attrito, rendendo scomodissimo l’esercizio. Tipicamente è grazie all’inclinazione dello schienale che si rimane incastrati.
È poi sempre presente un meccanismo di sgancio del carrello: a riposo il carrello è in alto, appoggiato su dei supporti, il soggetto spinge le gambe e muove o ruota una leva per spostare i supporti, in modo da poter flettere e gambe e far abbassare il carrello. Al termine, a gambe estese e con il carrello in alto, il soggetto muovendo la leva nel verso opposto rimetterà i supporti nella posizione iniziale e riappoggerà il carrello.
Senza questi supporti la prima ripetizione sarebbe dalla posizione di massima flessione, rendendo l’esercizio improponibile. Non solo, devono essere presenti delle battute di sicurezza, in modo che in caso di crollo verso il basso del carrello perché il tizio non ce la fa a sostenerlo, il carrello non scende sotto una certa altezza, evitando di squeezzare il coglione che ha osato troppo.
Sembra incredibile, ma per capire quanto peso si sta muovendo serve la Trigonometria. Il carrello scorre sulle guide che formano di fatto un triangolo rettangolo, con l’ipotenusa inclinata dell’angolo ϑ. La forza P del peso del carrello e del carico può essere scomposta in due direzioni, figura qua sopra a sinistra:
- PPar
– la componente parallela alle guide - PPerp
– la componente perpendicolare alle guide
Ovviamente la somma vettoriale delle due componenti dà sempre P. Si noti come il triangolo delle forze sia rettangolo (le due componenti sono perpendicolari fra di loro) e un angolo sia proprio ϑ.
A destra le forze in gioco:
- La forza P, suddivisa nelle sue componenti parallela e perpendicolare alla guida
- La forza F del soggetto che spinge il carrello, e che supponiamo parallela alla guida
- La forza di reazione R della guida stessa, che è perpendicolare alla guida: questa è la forza che impedisce al carrello di sprofondare nel metallo della guida, permettendo invece di scorrere
Ora, è chiaro che la componente della forza P che è perpendicolare alla guida, PPerp, debba essere perfettamente compensata dalla forza di reazione R. Se così non fosse, e R fosse minore di PPerp, il carrello sfonderebbe la guida. Se invece R fosse superiore, il carrello si staccherebbe dalla guida… poiché queste cose assurde non accadono, le due forze hanno stessa intensità e direzione ma versi opposti e si annullano a vicenda.
Il soggetto, pertanto, deve contrastare la forza PPar, cioè in condizioni statiche (o quasi-statiche come sempre supponiamo), si deve avere:
1
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Ma quanto vale PPar? Applicando la Trigonometria di base dei triangoli rettangoli (che si studia in tutte le scuole superiori e se non la sapete, come dire… sono cazzi vostri), è banale scrivere:
2
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In altre parole, il soggetto non spinge tutto il peso ma… meno.
Ecco le inclinazioni tipiche delle presse da palestra: 45°, 60°, anche 30° (questa è più tipica di una slitta caricabile, però…). Consideriamo le forze in termini di kg equivalenti e non di Newton che è più significativo e supponiamo che P sia pari a 200 kg equivalenti, kgeq:
3
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Per i nerd che devono trovare il fottuto pelo nell’uovo per fare l’interventino “si ma” e far vedere che sono cool, lo so anche io che le fu nzioni trigonometriche hanno come argomento i radianti e non i gradi, però queste sono le osservazioni dei nerd secchi di merda che chiamano le flessioni correttamente con il loro nome, piegamenti, ma ne fanno 3 di fila.
Come vedete, nella pressa a 45° il carico da spingere è lo 0,71, o il 71% che è la stessa cosa, del carico… caricato (perché questo valore di 0,71? Perché… va studiatala Trigonometria), con quella a 60° il carico spinto è pari all’87% del carico totale, con la slitta a 30° il carico spinto è esattamente la metà di quello totale.
Ciò significa che i duecentochilogrammi-oh-yeah diventano dei meno esaltanti 140 kg, i trecentochilogrammi-ai-em-veri-strong si trasformano in ben più ragionevoli 210 kg. Perciò, un conto è cosa osservate, un conto è cosa sollevate. E senza parlare di tecnica di esecuzione o quant’altro.
Proprio perché il carico effettivo è inferiore a quello caricato, una buona pressa caricabile ha un carrello bello peso, dell’ordine degli 80 kg, meglio 100 kg perché avrete un peso fisso di base a cui aggiungere il resto.
Questa è la spiegazione del motivo per cui i proprietari delle palestre preferiscono una pressa con pacco pesi e selettori: è facile avere clienti che portano in giro decine e decine di dischi, esaurendo tutto il tonnellaggio (che oggi è minimale) della palestra stessa.

Un altro modello che si ritrova spesso è quello appunto con il pacco pesi e il selettore. Il pacco pesi è agganciato al carrello con una serie di carrucole che, a seconda di come sono piazzate, possono variare il carico effettivamente spostato dal soggetto. In altre parole, i kg che si leggono sui mattoncini sono quelli reali oppure no? Dipende da come sono piazzate le carrucole e i cavi.
Questo è il modello very rozz, il mio preferito: in pratica il pacco pesi è tirato da un cavo che scorre su una carrucola, poi il cavo gira intorno ad un’altra carrucola posta alla base della pressa, dove finisce lo schienale, ed infine si aggancia in qualche modo al carrello.
Seguite il percorso: se il peso P non si muove, questo è a causa della tensione R sulla corda. La tensione R farebbe ruotare la carrucola in alto in senso orario ma, dato che non si muove, esiste una tensione R dall’altro lato della carrucola stessa. Ripetete il ragionamento per ogni elemento, alla fine otterrete che il carrello non si muove se applicate una forza F pari alla tensione R, che a sua volta è pari alla forza peso P.
Questo è un ottimo modello perché il carico del pacco pesi ve lo beccate tutto sulle cosce, senza antipatici giochini trigonometrici.
Ecco un esempio del meccanismo appena descritto. “Wow! Fantastico! Ma… perché nella palestra di mia nonna tutti gli ultracentenari con l’osteoporosi fanno 100 kg di pressa?”
È molto probabile che lo schema dei cavi della pressa sia simile a questo: il peso è tenuto da una corda che è agganciata al centro di una carrucola, su cui si avvolge il cavo che viene tirato: il vecchietto spinge il carrello, tira il cavo, il cavo fa ruotare la carrucola, la carrucola si sposta verso l’alto sollevando il peso.
Adesso ragioniamo come prima: il peso P è sostenuto dalla tensione R della corda, tensione che, a sua volta, “tira verso il basso” la carrucola in basso, quella più vicina al pacco pesi . Questa non si muove, pertanto deve essere equilibrata da altre forze, le due frecce verso l’alto ai lati della carrucola stessa.
Si consideri la situazione a sinistra, qua sopra: le due forze verso l’alto sono differenti in intensità, pertanto una forza “tira” più dell’altra e la carrucola inizia a girare. Però noi siamo in condizioni di quasi-staticità, cioè il movimento è modellato come una serie di istantanee in cui in ognuna è tutto fermo, pertanto la carrucola non può girare (l’ipotesi di quasi-staticità in un movimento come la pressa è rispettata praticamente sempre a meno del momento di inversione).
Se perciò la carrucola è ferma, non ruota, le due forze devono avere la stessa intensità, nel disegno la stessa lunghezza come a destra. L’equilibrio delle forze permette pertanto di scrivere:
La forza necessaria per mantenere ferma la carrucola è la metà della tensione R che è a sua volta pari alla forza peso del carico. A questo punto, riportando la forza RC come prima funo al carrello, segue che la forza da applicare per tenerlo fermo è l’esatta metà della forza peso del carico stesso.
Anche in questo caso i kg sollevati non sono quelli osservati e 100 kg del pacco pesi diventano 50 kg, un carico che tutti possono sollevare con un po’ di allenamento, dato che in pratica si tratta di sollevare se stessi!
Ma che senso ha sprecare un pacco pesi da 100 kg di ferro per ottenere la metà del risultato? Chi progetta le macchine non potrebbe risparmiare 50 kg e far pagare di meno la pressa stessa?
Qua si entra nelle risposte ipotetiche, nelle opinioni e, come dice l’ispettore Callaghan, queste sono come i coglioni, ognuno ne ha due. Ecco le mie:
- Magari il costruttore ha dei pezzi standardizzati per realizzare velocemente pacchi pesi che monta identici in tutti i modelli. Una pressa da “fitness” verrà demoltiplicata, una più hardcore avrà un rapporto carico:forza di 1:1, una ancora più hardcore avrà una moltiplica della forza. A livello industriale il risparmio economico segue la regola delle economie di scala: pochi pezzi tutti uguali e modulari per costruire tutto, anche a costo di sprecare qualcosa.
- Magari una pressa demoltiplicata fa sentire Strong&Cool il cliente che rinnova l’abbonamento. Considerate se lo sforzo fosse moltiplicato e 4 o 5 mattoncini fossero pesanti come 100 kg: un durissimo colpo per la
fragile autostima del palestrato medio che se salta un quarto di allenamento si vede sgonfio e flaccido già nella doccia.
Sinceramente, non ho mai trovato presse di questo tipo proprio perché il pacco pesi costa, ha un valore, e sfruttarlo per la metà di quello che vale non è propriamente da furbi. Ho trovato però delle “ercoline” demoltiplicate, quelle stazioni dove puoi fare le spinte in basso per i tricipiti e le croci ai cavi, Ah… ma come si crea una pressa moltiplicata?
La carrucola centrale è quella che opera la moltiplica: la forza R stavolta non agisce sul perno centrale, ma sul bordo della carrucola. Ragionando come nel caso precedente, le due forze inclinate a 45° verso destra devono avere la stessa intensità, altrimenti la carrucola ruoterebbe. Applicando l’equilibrio delle forze lungo la linea di trazione del cavo inclinato a 45° si ha:
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La forza RC si trasmette tramite il cavo fino al carrello, e così la forza F per tenerlo fermo è proprio pari al doppio di R che a sua volta è pari a P: ho moltiplicato il carico.
Questo è un esempio di pressa con pacco pesi moltiplicato. L’idea è ingegnosa e permette così di contenere i pesi ed i costi, perché 50 kg diventano 100 kg. Ovviamente perché se questa è un’idea così ganza non fanno tutti così? Il problema è che i modelli con le carrucole sono peggiori di quelli con il carrello e i dischi a causa degli attriti.
Provate una pressa con pacco pesi e catene: farete una fatica bestia per mettere in movimento il tutto, poi appena il pacco inizia a muoversi il carico sembra più leggero. Si tratta dell’ attrito di primo distacco, cioè la catena in qualche modo “penetra” un po’ dentro le carrucole e voi dovrete faticare per distaccarla. L’attrito ha un effetto frenante anche durante l ’esecuzione, effetto che è sempre maggiore al crescere del peso.
Una pressa a cavi d’acciaio rivestiti di nylon è sicuramente migliore, sebbene meno post-industriale e mitica. Il problema dei cavi è che la loro elasticità si fa sempre più sentire all’aumentare del peso il movimento diventa “gommoso”, specialmente all’inversione del movimento. Difficile trovare presse da 400 kg fatte con i cavi perché questi dovrebbero essere di diametro così elevato da non poter avvolgersi bene intorno alle carrucole, e poi i cavi possono rompersi più facilmente delle catene.
Con una moltiplica tutto questo si esaspera e il movimento non è percepito come “fluido”. In generale più carrucole ci sono e più attriti ci sono, perciò una pressa a carrucole che moltiplicano il peso non è per sollevare parecchio. Basta saperlo, no? In fondo un prodotto più scarso come performance può andare bene per un contesto fitness dove non ci sono dei fissati psicolabili che adorano essere dei muletti.
La pressa ideale, per me, dovrebbe avere queste caratteristiche:
- Carrello di 100 kg
- Inclinazione 45°
- Guide su rotelle, pesi caricabili.
- Pacco pesi non moltiplicato da 150 kg, con trasmissione a catena e carrucole di grande diametro
Ok, ci sarà un po’ di attrito, però ho di base 200 kg, per le persone normali non devo caricare e scaricare rotelle e dischi, per il forte della palestra che fa più di 200 kg basta aggiungere pesi al carrello, ma in un quantitativo abbastanza limitato perché di Coleman non è che ce ne siano poi così tanti.
La tecnica d’esecuzione
Ora, la pressa è un movimento guidato, non c’è molto da capire. Piazzatevi sotto, mettete i piedi sul carrello, spingetelo, spostate i fermi e via. Parleremo del posizionamento dei piedi in un altro articolo, però per come si deve muovere il carrello… cazzo… è su un binario…
C’è però un aspetto assolutamente determinante. A sinistra il corretto posizionamento sullo schienale: il bacino è completamente appoggiato allo schienale, dovete sentire che la pressione è sulla parte posteriore dei. Quando il carrello si muove sotto l’effetto della vostra spinta, voi ricevete una contro-spinta dalla parte opposta, frenata dallo schienale e dal fatto che le vostre mani fanno presa sulle maniglie.
Queste ci devono essere altrimenti inizierete a scivolare verso l’alto, e non occorre una spiegazione con frecce e vettori, dai… basta provare ed è chiaro che accada. Il punto è che a subire la forza di compressione sullo schienale, identificata con la R di reazione dello schienale stesso che non si fa sfondare, deve essere il vostro bacino, le vostre ossa iliache.
A sinistra una posizione sbagliata: il bacino è sollevato e ruotato, retroverso. Di conseguenza la spina dorsale perde la sua curvatura e l’appoggio è proprio sulla spina. In pratica è come se faceste un goo d morning con il bilanciere nella parte bassa della schiena e tutti gobbi.
La figura qua sopra esemplifica quanto scritto: se rovesciate gli scheletri a sinistra otterrete quelli a destra: indovinate chi sta facendo le cose per bene e chi no?. Davvero, prendersi una rincriccata alla schiena per fare la pressa non è da furbi, eppure c’è chi ci riesce, specialmente quelli che sollevano la testa e grugniscono, pensando che lo schienale li protegga. Ok, farsi venire un’ernia non è da tutti, però avere dolori alla bassa schiena a causa della pressa è molto più semplice di quanto si pensi.
La retroversione del bacino e la perdita di curvatura della spina tipicamente accade quando volete scendere troppo con il carrello, il femore si flette molto verso il tronco, magari non avete sufficiente mobilità di anche e il bacino comincia a ruotare a causa dell’inizio di un impingement (non patologico o doloroso, semplicemente iniziate a schiacciare tutto quello che c’è fra femore e bacino) che porta alla rotazione del bacino stesso.
Perciò, per decidere la profondità dovete considerare che il carrello si deve abbassare fino a che il bacino riesce a rimanere attaccato allo schienale, seggiolino o come lo volete chiamare. Non scendete fino al limite del sollevamento delle chiappe… fermatevi un po’ prima.
Specialmente se fate serie ad alte ripetizioni, ancorarsi e mantenere l’assetto del bacino è un punto determinante, perché voi userete non solo i quadricipiti, ma anche i glutei per estendere le vostre cosce, e mentre le estendete, state anche estendendo il tronco. Se il punto di appoggio non è il bacino, farete forza con la spina dorsale, con quel falso senso di sicurezza di non avere pesi sulle spalle e così di non potervi far male alla schiena.
La pressione
La pressa ad alte ripetizioni per sfinire i quadricipiti è qualcosa che va provata almeno una volta nella vita. Essendo il movimento guidato, è possibile schiodare ripetizioni su ripetizioni con pesi elevatissimi, serrando le ginocchia e riposando con il carrello in alto, per immergersi in un’altra ripetizione e via e via. Per questo motivo le statistiche su ripetizioni e carichi che valgono per, che so… lo squat, non valgono per la pressa: è possibile macinare anche 10-12 ripetizioni con il 90% del massimale, riposarsi qualche minuto e rifarne altre 10-12.
Consiglio di mantenersi sempre su medie ripetizioni, minimo 8, e non scendere sotto. Il massimale di pressa è quanto di più pericoloso possa esistere perché i pesi mossi possono essere abnormi, 400, 500, anche 1000 kg (che poi l’esercizio diventa caricare e scaricare eh…), con tensioni muscolari e compressioni articolari da paura.
Considerate che più mettete peso e più gli attriti hanno importanza, pertanto ci sarà un momento in cui la spinta verso l’alto dovrà vincere così tanto attrito iniziale che starete a premere per secondi, aumentando a dismisura le compressioni che il vostro corpo deve sostenere. Il massimale di pressa è perciò una prova inutile, machismo alfa da palestra.
Se poi il massimale fallisce… nessuno sarà in grado di sollevare il carrello e voi rimarrete schiacciati. Per questo motivo, almeno una volta nella vostra carriera di leg-pressisti dovete provare la profondità dei fermi di sicurezza, che devono essere cablati nella struttura, per capire quanto s arete schiacciati se le cose vanno male.
Inutile dire che più farete invece ripetizioni elevate e più il cuore schizzerà fuori dalla cassa toracica, e anche se non ve ne accorgerete sicuramente nel punto inferiore del movimento bloccherete il respiro, la manovra di Valsalva: nessuno fa uno sforzo espirando volontariamente, ma tutti bloccano il respiro. Ma che succede a bloccare il respiro e contrarre gli addominali insieme a tutti i muscoli che servono al movimento?
Succede che aumenta la pressione interna del corpo, e la dimostrazione è che è possibile fare delle sonore scuregge, cacarsi o pisciarsi addosso (accade, accade) e far anche uscire delle belle emorroidi.
Ma anche se queste cose imbarazzanti mentre volete far colpo con le cougar della palestra non accadono, di sicuro ci sarà una impennata della pressione arteriosa.
Questo è un tracciato della pressione arteriosa durante 11 ripetizioni di pressa a cedimento con il 90% del massimale. Si ricorda che la pressione normale a riposo sia 120/80 mmHg, guardate la scala a sinistra… 400 mmHg… cioè…
Questo è il risultato delle medie delle pressioni e delle pulsazioni rilevate. Il punto fondamentale è che la pressa è l’esercizio che più fa salire la pressione arteriosa:
- Pesi elevati per molto tempo sotto tensione
- Posizione rovesciata con le gambe in alto che fa defluire il (poco) sangue presente nelle gambe durante l’esercizio
- Manovra di Valsalva
- Compressione addominale a causa delle cosce che premono mentre il carrello scende
Perciò, i soggetti cardiopatici devono sapere queste cose e mantenersi sicuramente lontani dal cedimento, ma anche soggetti sani possono avere dei veri e propri svarioni di pressione quando si rimettono in piedi. Perciò, attenzione che c’è chi sviene. Ok, lo so che voi siete i guerrieri del lun-mer-ven, però se fate i pittì magari il vostro cliente si alza e crolla e questo non è bello.
Questo secondo me è il peggio del peggio per quanto riguarda le presse: la pressa verticale:
- Massima possibilità di retrovertere il bacino
- Massima pressione arteriosa possibile
Poi, come sempre, sarà un esercizio che faceva Arnold, o Sandow, sarà un esercizio fondamentale per il bodybuilding, ma la pressa verticale per me è qualcosa di assurdo, una variante semplice, economica, ma se uno ci rimane sotto? Cioè dài… questa no. Aspetto che mi commenti quello che ha lo zio del cugino dell’amico del parente del conoscente che fa 574 kg di pressa verticale, è enorme, mai fatto male, sanissimo, e prima di questo esercizio era un secco di merda.
La slitta
Come ovviare all’aumento di pressione? Ecco una possibile soluzione che limita l’innalzamento della pressione arteriosa. Attenzione: non ci sono studi che mostrano che la pressione si incrementi di meno con una slitta rispetto ad una pressa, sia chiaro, è una deduzione sulla base che se la testa sta più in alto la pressione è minore che a tenerla in basso.
Diciamo che quella sensazione di esplosione del cervello che si ha con la pressa, qui non si ha. Vorrà dire qualcosa? Boh… però sono corretto e ve lo scrivo.
La slitta ha dei vantaggi importanti in un contesto fitness:
- È facile da fare come una pressa, il movimento è guidato, perciò si possono fare le stesse, identiche cose.
- La pressione arteriosa
- È molto più semplice mantenere il contatto con lo schienale (è una evidenza empirica, basta provare)
- La persona non deve distendersi, ma semplicemente sedersi.
L’ultimo punto, quello che tutti non cagano manco di striscio, è quello determinante: pensate ad una signora anziana, ad una ragazza un po’ grassottella con la tuta perché si vergogna, queste tipologie di persone non amano doversi chinare, poi stendersi e posizionarsi, poi ritornare in piedi sentendosi goffe. Addirittura le persone anziane possono non riuscire a posizionarsi sotto una pressa, oppure possono non riuscire a tornare su…
La slitta evita tutto questo, perché è quasi come sedersi su un seggiolino.
Macchine come questa hanno lo stesso vantaggio della slitta, anche se hanno un posizionamento un tantino più complesso. Diciamo che la comodità nel piazzarsi è un plus importante nel design di macchine di questo tipo. Ovvio, personalmente a me non me ne può fregare di meno, però invito tutti a non ragionare come se tutti fossero no-pein-no-ghein ancora una laight ueighs beibi: se dovete acquistare una pressa per voi è una cosa, per altri o per la vostra attività è un’altra cosa.
Cosa ci si fa con la pressa
La pressa è un ottimo esercizio complementare, nel senso che per me un esercizio deve insegnare anche qualcosa, non solo essere un bruto movimento. La pressa, come dire… non insegna un cazzo: il movimento è guidato ed è come andare in bicicletta con le ruotine, sono capaci tutti quelli che hanno il cervello collegato agli arti. Il multipower così odiato è più difficile della pressa, non fosse altro perché sul piano sagittale è a 2 gradi di libertà, mentre la pressa ne ha solo 1…
La pressa è l’ideale per sfinire i quads in sicurezza, con un impatto minimo sulla schiena. Nello squat ad alte ripetizioni l’anello debole è la schiena, che cede per prima ma non solo: recupera più lentamente e condiziona il resto dell’allenamento. Con la pressa… non avete questo problema.
Perciò, medie ed alte ripetizioni, lavori con pochissimo recupero, pesi medio-elevati. Questo è sfruttare una pressa.
Poi, ci sono applicazioni nella riabilitazione del ginocchio, come la pressa monopodalica con posizionamento del piede in vari punti del carrello. In questo caso non serve una pressa hardcore ma anche una pressettina piena di carrucole, però la pressa rimane sempre l’emblema dell’esercizio lacrime e sangue, quello davvero dell’”ancora una” che si riesce a schiodare via
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